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Santi del 2 Aprile

Il mio Santo > I Santi di Aprile

*Sant'Abbondio - Vescovo (2 Aprile)

Vescovo di Como dal 440 - Morto a Como nel 469-499
A lui si ispirò certamente il Manzoni nel dare il nome al suo celebre personaggio sul «ramo del lago di Como».
Di Abbondio si sa che fu vescovo lariano dal 440, mentre non si conoscono con certezza data di nascita e morte. Come ignoto è il luogo di origine. Conosceva bene il greco e, perciò, prima di dedicarsi a tempo pieno al servizio episcopale (e all’attività missionaria nelle zone montuose vicino Lugano ancora scristianizzate), fu mandato dal Papa Leone I Magno a Costantinopoli per dirimere, con successo, la questione dottrinale sulle due nature di Cristo suscitata da Nestorio ed Eutiche. I resti del patrono sono nella basilica di Como. (Avvenire)

Patronato: Como
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Como, Sant’Abbondio, vescovo, che fu inviato a Costantinopoli dal papa san Leone Magno e vi difese con zelo la retta fede.  
Alessandro Manzoni ha chiamato “don Abbondio” il poco animoso curato dei Promessi sposi, ispirandosi a un nome famoso e venerato nella terra dov’è ambientato il romanzo: sant’Abbondio, vescovo di Como, città che conserva tuttora i suoi resti nella basilica a lui dedicata e lo onora come patrono.
Una tradizione lo dice greco, di Tessalonica (attuale Salonicco), ma il nome così schiettamente latino ne fa dubitare.
Risulta invece che Abbondio conosce bene la lingua greca, caso ormai raro nella Chiesa d’Occidente all’epoca sua.
Ignoti il tempo e il luogo della nascita, la prima data certa della sua biografia è il 17 novembre del 440: in quel giorno Abbondio, già collaboratore del vescovo Amanzio in Como, riceve la consacrazione episcopale come suo successore.
Ma non può dedicarsi subito alla diocesi: il Papa Leone I Magno (quello dell’incontro con Attila) ha bisogno di lui per un compito tutt’altro che tranquillo: deve andare a Costantinopoli come legato pontificio presso l’imperatore Teodosio II.
E lì Abbondio dovrà ristabilire in modo duraturo l’unità nella fede, dopo il lungo conflitto
dottrinale suscitato dal vescovo Nestorio e dall’archimandrita Eutiche.
Questi sono due figure eminenti del cristianesimo orientale, entrambi però in contrasto con la dottrina della Chiesa di Roma e dei concili sul tema delle due nature – umana e divina – nella persona di Cristo; e per buon peso sono in contrasto pure fra di loro, con le inevitabili divisioni anche fra i cristiani, i conflitti per la nomina dei vescovi, con accompagnamento anche di violenze fisiche: com’è accaduto al patriarca Flaviano di Costantinopoli, seguace dell’ortodossia, aggredito brutalmente e deposto, tanto da morirne poco dopo.
Morto anche l’imperatore Teodosio II nel 450, Abbondio a Costantinopoli trova il suo successore Marciano: e a lui, come ai vescovi, al clero, ai monaci e ai fedeli, Abbondio ribadisce con franchezza la dottrina cattolica sulle due nature in Cristo, come l’ha esposta Leone I in una lettera diretta ancora a Flaviano.
E porta a termine la missione facendo accettare il documento pontificio da tutti i vescovi d’Oriente, con in testa quello di Costantinopoli, già nemico di Flaviano.
Un successo pacifico e pieno per Abbondio, accolto festosamente a Roma da papa Leone nel 451. Dopo una missione analoga nel Nord dell’Italia, egli può infine essere vescovo di Como a tempo pieno.
E questo significa farsi missionario, annunciando il Vangelo nelle regioni montane, nella zona di Lugano e in altre terre non ancora cristianizzate.
Il diplomatico e teologo diventa predicatore.
E muore in un giorno di Pasqua, dice un testo dell’epoca, appunto dopo aver predicato.
Ma non si conosce con certezza l’anno della morte, indicato da alcuni nel 469, da altri nel 488 o nel 499.
Il Martyrologium Romanum lo ricorda il 2 aprile, mentre la diocesi di Como lo festeggia il 31 agosto.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abbondio, pregate per noi.

*Sant'Appiano - Martire (2 Aprile)

m. 306
Martirologio Romano:
A Cesarea in Palestina, Sant’Appiano, martire, che, sotto l’imperatore Massimino, poiché il popolo era costretto a sacrificare pubblicamente agli dèi, accostatosi con coraggio al governatore Urbano, gli afferrò la mano destra, obbligandolo a sospendere il rito e per questo, con i piedi avvolti da un panno di lino intinto nell’olio e dato alle fiamme, fu precipitato ancora vivo in mare dai soldati.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Appiano, pregate per noi.

*Beato Diego Luis de San Vitores - Gesuita, Martire nelle Marianne (2 Aprile)

Burgos, Spagna, 12 novembre 1627 - Tomhom, Guam (Marianne), 2 aprile 1672
Martirologio Romano: Nel villaggio di Tomhom nell’isola di Guam in Oceania, Beati martiri Diego Luigi de San Vitores, sacerdote della Compagnia di Gesù, e Pietro Calungsod, catechista, uccisi crudelmente in odio alla fede cristiana e precipitati in mare da alcuni apostati e da alcuni indigeni seguaci di superstizioni pagane.  
È considerato l’Apostolo delle Isole Marianne, nell’Oceano Pacifico. Padre Diego Luis nacque nella nobile famiglia de San Vitores, a Burgos in Spagna il 12 novembre 1627.
Per gli alti incarichi affidat
i dalla corte al padre di Diego, la sua famiglia si trasferì a Madrid nel 1631, poi a Guadix (Granada) nel 1635 e di nuovo a Madrid nel 1638.
Frequentò il Collegio dei Gesuiti di Madrid e giovanissimo entrò come novizio nella Compagnia di Gesù a Villarejo de Fuentes; nel 1634 a 17 anni emise i primi voti; fino al 1650 compì gli studi di filosofia e di teologia, venendo ordinato sacerdote il 23 dicembre 1651.
Fino al 1660 fu insegnante a Oropesa (Toledo), Madrid e Alcalà e in quell’anno finalmente poté realizzare il sogno della giovinezza e partire per le missioni, aveva 33 anni e così fu destinato, non in Cina come desiderava, ma alle Filippine, dove giunse via Messico, solo nel 1662.
In Messico stazionò per due anni dal 1660 al 1662, conquistandosi la stima dei confratelli missionari, rammaricati per la sua partenza da Acapulco; fu durante il viaggio marittimo dal Messico alle Filippine, che Diego ebbe un primo contatto con le Isole Marianne, allora chiamate Ladroni, nome messo da Magellano che le scoprì nel 1521; rendendosi conto che l’arcipelago non conosceva ancora l’evangelizzazione.
Perciò scrisse sia a Roma che in Spagna, a cui appartenevano, sollecitando l’invio di missionari nelle Isole e a Guam capoluogo, offrendo sé stesso per tale scopo. Il 10 luglio 1662 giunse al porto di Lampong nelle Filippine da dove proseguì, via terra per Manila.
Fino al 1667 svolse la sua missione sacerdotale nella Comunità di Taytay e poi come prefetto degli studi nel collegio di Manila. Nel 1665 giunse la disposizione del re di Spagna al governatore delle Filippine, di provvedere per un’imbarcazione al missionario e il 7 agosto 1667 padre Diego Luis de
San Vitores, poté salpare non per le Marianne, ma per il Messico, diretto dal viceré di Spagna, che avrebbe dovuto fornirgli il materiale ed i mezzi necessari per avviare la missione, perché il governatore delle Filippine non aveva denaro per lo scopo.
Dopo tre mesi di sosta in Messico per raccogliere i fondi, il 23 marzo 1668 salpò per le Marianne, dove giunse nell’isola di Guam il 16 giugno 1668, accompagnato da un gruppo di confratelli gesuiti.
L’opera di evangelizzazione si propagò fra alti e bassi in tutto l’arcipelago, le conversioni affluirono numerose, nel contempo si ergeva una opposizione alla loro opera, da parte di un guaritore cinese, un certo Cocho, che sobillava gli indigeni cristiani, dicendo che l’acqua del battesimo era avvelenata e perciò i bambini morivano; in realtà alcuni bambini già gravemente ammalati erano stati battezzati e poi erano morti.
Ma questo bastò perché molti che si erano convertiti, si rivoltassero contro i missionari, diventando loro nemici. L’evangelizzazione delle Isole Ladroni poi Marianne, da parte di padre Diego, durò quattro anni, con frequenti spostamenti da un’isola all’altra per sostenere i suoi confratelli e con generosa dedizione alla gente dell’arcipelago.
Accompagnato dal giovane catechista filippino Pedro Calungsod, il 2 aprile 1672 si recò al villaggio di Tomhom nell’isola di Guam e avendo saputo che era nata una bambina al cristiano poi rinnegato, di nome Matapang, cercò di convincerlo a battezzarla, l’uomo reagì con violenza, rifiutò e recandosi al villaggio, cercò l’aiuto di un certo Hirao per ucciderli; anche quest’ultimo era un beneficiario della bontà dei missionari e in un primo momento rifiutò.
Nel frattempo, con il consenso della madre, padre Diego battezzò la bambina; avendolo saputo, si scatenò l’ira di Matapang che lanciò varie frecce, finché colpì al petto il giovane catechista Pedro, padre Diego accorse per dargli l’assoluzione, nel frattempo sopraggiunse Hirao che con un colpo alla testa finì il giovane e con la lancia uccise poi padre Diego.
I loro corpi spogliati e caricati su una barca, furono gettati nell’Oceano.
Primi martiri e apostoli delle Marianne. Padre Diego Luis de San Vitores è stato beatificato il 6 ottobre 1985 da Papa Giovanni Paolo II, il quale ha poi beatificato Pedro Calungsod Bissaja il 5 marzo 2002. - Festa liturgica per entrambi al 2 aprile.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Diego Luis de San Vitores, pregate per noi.

*San Domenico Tuoc - Martire Domenicano (2 Aprile)
m. 1839
Martirologio Romano:
Nel villaggio di Xương Điền nel Tonchino, ora Viet Nam, San Domenico Tước, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire sotto l’imperatore Minh Mạng.  

Domenico Tuoc (in vietnamita Ða Minh Tước) (Trung Lao, 1775 – Nam Dinh, 2 aprile 1839) è stato un presbitero vietnamita. Beatificato nel 1900, è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II nel 1988.
Biografia
Ða Minh Tước nacque nel 1775 nella provincia di Nam Dinh nel Tonchino, in Vietnam. Divenne un sacerdote professo dell'ordine domenicano. Nel 1838 l'imperatore Minh Mng ordinò una persecuzione dei cristiani vietnamiti. Domenico fu imprigionato e torturato. Morì martire il 2 aprile 1839, a Nam Dinh.
Culto
Fu beatificato il 27 maggio 1900 da papa Leone XIII, e canonizzato, come uno dei 117 martiri del Vietnam, il 19 giugno 1988 da papa Giovanni Paolo II. I martiri vietnamiti sono ricordati congiuntamente il 24 novembre, ma san Domenico può anche esser ricordato nel suo dies natalis (il giorno del martirio), il 2 aprile, secondo il Martirologio Romano:
«Nel villaggio di Xương Đin nel Tonchino, ora Viet Nam, san Domenico Tước, sacerdote dellOrdine dei Predicatori e martire sotto l’imperatore Minh Mng.»

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Domenico Tuoc, pregate per noi.

*Beata Elisabetta Vendramini (2 Aprile)

Bassano del Grappa, Vicenza, 9 aprile 1790 - Padova, 2 aprile 1860
Nata a Bassano del Grappa il 9 aprile 1790, Elisabetta Vendramini studia dalle Suore Agostiniane.
A 22 anni, vincendo la resistenza dei suoi genitori, si fidanza con un ragazzo di Ferrara di umili origini. Ma poco prima del matrimonio, a 27 anni, interrompe la relazione e va ad insegnare nell'orfanotrofio delle Terziarie francescane dove la Superiora la umilia ripetutamente.
Così Elisabetta passa all'istituto degli Esposti a Padova che accoglie bambini abbandonati.
Ma vi resta solo un anno, siamo a fino 1828, e si trasferisce alla «Casa degli sbirri». Con una compagna apre una scuola gratuita tra bambini abbandonati e anziani infermi e comincia ad accogliere delle giovani sotto il nome di Francescane Elisabettine.
Dal 1835 le Elisabettine si moltiplicano e aprono scuole, aiutano gli emarginati e gli anziani. Elisabetta muore il 2 aprile 1860, prima che la congregazione ottenga i riconoscimenti canonici. Giovanni Paolo II l'ha beatificata il 4 novembre 1990. (Avvenire)
Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Padova, Beata Elisabetta Vendramini, vergine, che dedicò la sua vita ai poveri e, dopo aver superato molte avversità, fondò l’Istituto delle Suore Elisabettine del Terz’Ordine di San Francesco.  
È una diciassettenne corteggiatissima in Bassano, dopo i buoni studi dalle Suore Agostiniane. Lei delude tutti, e solo a 22 anni trova il tipo giusto: un ragazzo di Ferrara. Vince la resistenza dei suoi (per le modeste condizioni di lui), ma poco prima delle nozze tronca tutto. E ha 27 anni. Resta in casa fino ai 30, poi va a fare la maestra nell’orfanotrofio locale, tenuto dalle Terziarie francescane (una branca del Terz’Ordine, con vita comunitaria e impegno regolare verso i poveri).
Ma l’Istituto è un disastro, e se ne dà colpa a una superiora dispotica, che subito vede in Elisabetta un’avversaria e le infligge umiliazioni insopportabili. Lei passa allora all’istituto degli “Esposti” in Padova, che accoglie bambini abbandonati. Ma dura poco anche qui: fino al novembre 1828. E non
perché la trattino male. Anzi, cercano di farla restare, perché è un’educatrice valida. Lei però lascia, perché non condivide l’impostazione pedagogica: troppo aristocratica, a suo giudizio. Va a finire, sempre a Padova, in un luogo dal nome deprimente: “Casa degli sbirri”. E così ne parla: "Nel novembre 1828 fui posta da Dio con una compagna [...] in una splendida reggia della santa povertà, priva persino del letto".
In due aprono una scuola gratuita lì, tra bambini abbandonati e vecchi infermi, cosicché devono farsi bambinaie, maestre, infermiere. E la situazione ispira a Elisabetta il disegno di un istituto nuovo, diverso; religiose addestrate all’intervento su più fronti. Comincia a raccogliere le prime giovani sotto il nome di Francescane Elisabettine (in onore di santa Elisabetta d’Ungheria, fondatrice di comunità femminili nel Duecento): saranno educatrici, ma pronte anche a operare in ogni situazione di sofferenza. Un’agile istituzione che si modella su necessità e situazioni diverse, agganciata ai bisogni di ciascun momento. Dal 1835 in poi, le Elisabettine si moltiplicano, aprono scuole, vanno a servire emarginati, vecchi, infermi. Fronteggiano un’epidemia di colera, creano asili d’infanzia. Tante necessità, tanti interventi.
Struttura e stile dell’Istituto si rivelano adatti ai tempi: le Elisabettine otterranno via via i riconoscimenti canonici, alla fine del XX secolo saranno 1.500, attive in Europa, Africa, Medio Oriente e America latina. Elisabetta, la fondatrice, è morta prima delle approvazioni, appena dopo aver dato slancio alla sua opera. E di lei non esiste sepolcro.
Il corpo è scomparso dopo il 1872, nel corso dei lavori di ristrutturazione del cimitero di Padova. Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 4 novembre 1990.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elisabetta Vendramini, pregate per noi.

*Sant'Eustasio di Luxeuil - Abate (2 Aprile)

m. 629

Martirologio Romano: Nel monastero di Luxeuil nella Burgundia sempre in territorio francese, Sant’Eustasio, abate, che fu discepolo di San Colombano e padre di quasi seicento monaci.
Nipote del vescovo di Langres, Miget, egli entrò presto nei monastero di Luxeuil e andò in esilio con San Colombano (610); ben presto, però, ritornò a Luxeuil per succedergli come abate.
Non riuscì a ricondurvi il suo maestro. Evangelizzò i pagani rivieraschi del Doubs, poi della Baviera.
Ritornato a Luxeuil, ebbe a lottare contro uno dei suoi monaci, Agrestio, antico segretario del re Tierrico II, che, recalcitrante e infatuato dei Tre Capitoli, fu frenato, al pari dei suoi partigiani, da un concilio di Macon (626-27).
Eustasio apportò dei mutamenti, temperandola, alla regola colombaniana, che Walfoerto, suo discepolo e successore, completò poi con quella di San Benedetto; creò il primo monastero doppio (religiosi e religiose) e adottò la data francese della Pasqua.
Gli si attribuisce la guarigione di Santa Salaberga, bambina. L'ordo di Besancon porta la sua memoria al 29 marzo.

(Autore: Paul Viard – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eustasio di Luxeuil, pregate per noi.

*Beato Francesco Coll y Guitart - Domenicano (2 Aprile)

Gombreny (Spagna), 1812 - Vich, 2 aprile 1875
Nato a Gombreny (Spagna) da una famiglia di lanaioli, dopo alcuni anni trascorsi come seminarista nella diocesi di Vich, nel 1830 entrò nel convento domenicano di Gerona.
Nel 1835 fu costretto a lasciare il convento in seguito alle leggi antiecclesiastiche, ma per tutta la sua vita fu sempre fedele agli impegni della vita domenicana.
Nel 1836 fu ordinato sacerdote e 20 anni più tardi fondò le Suore Domenicane dell'Annunciazione.
Votatosi totalmente alla predicazione, annunciò instancabilmente il nome di Gesù in tutta la Catalogna.

Martirologio Romano: A Vic nella Catalogna in Spagna, Beato Francesco Coll, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, ingiustamente espulso dal chiostro, perseverò tuttavia fermamente nella sua vocazione e predicò per tutta la regione il nome del Signore Gesù Cristo.
Francisco Coll y Guitart nacque a Gombreny, nella diocesi di Vic, in Spagna, il 18 Giugno 1812, decimo
ed ultimo figlio di un cardatore di lana. Sin dai primi tempi della sua vita si dedicò all’educazione dei fanciulli, unendola alla propria formazione spirituale e sacerdotale nel seminario di Vic, dove era entrato nel 1823.
Per chiara ispirazione di Dio, si fece religioso nell’Ordine dei Predicatori vestendone l’abito nel convento di Gerona nel 1830: lì emise poi la sua professione solenne e ricevette il diaconato, finché, nel 1835, la chiusura forzata dei conventi, da parte del Governo, l’obbligò a vivere fuori convento, senza per altro rinunciare alla sua Professione Domenicana, ma anzi portandola a viverla con maggior intensità.
Previo consenso dei superiori, nel 1836, ricevette il presbiterato “col titolo di povertà”.
Per quarant’anni predicò intensamente in tutta la Catalogna, sia nelle missioni popolari di gruppo, che in quelle individuali, divenendo un importante strumento di rinnovamento religioso della società. La sua predicazione si fondava su una gran fedeltà al Vangelo, sul facile superamento delle circostanze avverse e sulla fede nella vita eterna.
Nominato, nel 1850, direttore del Terz’Ordine Secolare Domenicano ebbe nelle sue mani uno strumento giuridico per porre rimedio all’urgente necessità della sua epoca e della sua regione, ossia provvedere alla formazione cristiana delle giovani nei luoghi più poveri ed emarginati, fondando, nel 1856, la Congregazione delle Suore Domenicane dell’Annunziata.
Dal 1869 patì varie malattie, tra cui la cecità e la perdita delle facoltà mentali. Morì il 2 aprile 1875 a Vic. Il suo corpo è venerato nella casa madre della Congregazione da lui fondata. Papa Giovanni Paolo II il 29 aprile 1979 lo ha proclamato Beato.

(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Coll y Guitart, pregate per noi.

*San Francesco da Paola - Eremita e Fondatore (2 Aprile)

Paola, Cosenza, 27 marzo 1416 - Plessis-les-Tours, Francia, 2 aprile 1507
Già la sua nascita ebbe i colori del miracolo: i suoi genitori non si aspettavano più un figlio.
L’aveva tanto desiderato da chiedere l’intervento del Santo d’Assisi, in onore del quale, quando inaspettatamente arrivò, lo battezzarono con il nome di Francesco.
La sua era una famiglia di poveri contadini. Allevato senza agi, Francesco rimase fedele ad un suo ideale di vita austera e impose in seguito, un esistenza dura anche ai suoi seguaci, tanto che la sua “regola” fu criticata anche dagli ecclesiastici per la severità.
Morì a novantuno anni.

Patronato: Calabria, Naviganti, pescatori.
Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: San Francesco da Paola, eremita: fondò l’Ordine dei Minimi in Calabria, prescrivendo ai suoi discepoli di vivere di elemosine, senza possedere nulla di proprio né mai toccare denaro, e di mangiare sempre soltanto cibi quaresimali; chiamato in Francia dal re Luigi XI, gli fu vicino nel momento della morte; morì a Plessy presso Tours, celebre per la sua austerità di vita.
La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto “Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano San Francesco, il ‘Poverello’ di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani, il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l’ascesso scomparve completamente.
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.
In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come
quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.
Un’altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell’incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di San Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella "Città eterna" mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini. Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell’eremo fondato nel 528 da Sant' Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all’interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.
Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò “Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata “l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l’ambiente; il prelato lo rimproverò per l’eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l’aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo Papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.
Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata.
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, ‘risuscitò’ il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un’altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al Papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all’eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un’età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: “Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell’Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di San Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Paolo III (1534-1549), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante
insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest’ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati “Minimi”, approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo Papa Leone X nel 1513 lo proclamò Beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d’osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto.
Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 Papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana.
Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell’Italia Meridionale, ne è testimonianza l’afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei “Minimi”.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Francesco da Paola, pregate per noi.

*San Giovanni Payne - Sacerdote e Martire (2 Aprile)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”

Peterborough, Inghilterra, 1550 circa – Chelmsford, Inghilterra, 2 aprile 1582
Nato nel 1550 in Inghilterra, protestante, si convertì al cattolicesimo e diventò prete nel 1576. Nell'Essex venne arrestato una prima volta nel 1577 e poi ancora nel 1581. Venne martirizzato a Chelmsford nel 1582.
Martirologio Romano: A Chelmsford in Inghilterra, San Giovanni Payne, sacerdote e martire, che, durante il regno di Elisabetta I, sotto la falsa accusa di tradimento patì il supplizio del patibolo.  
John Payne nacque intorno al 1550 presso Peterborough nell’Huntingdonshire. Nulla sappiamo della sua giovinezza, se non che venne educato nella fede protestante. Solo in seguito dunque si convertì al cattolicesimo nel 1574 entrò nel nuovo collegio di Douai per prepararsi al sacerdozio. Qui gli fu affidato l’incarico di economo e già nel 1576 gli fu conferita l’ordinazione presbiterale, ma ciò lascia supporre che il Payne avesse intrapreso gli studi teologici altrove già in precedenza.
Tornò allora in patria insieme a San Cuthberto Mayne per esercitare il suo ministero, stabilendosi nell’Essex presso Ingatestone Hall, ospite della famiglia Petres, fortemente
contraria alla politica religiosa condotta dal governo inglese. Ciò facilitò la sua attività pastorale tra i cattolici del luogo, pur essendo comunque tempi difficili per i cirstiani in comunione con la Santa Sede, ed infatti nel 1577 fu arrestato ed imprigionato per un breve periodo. Una volta rilasciato tornò a Douai, ma già verso la metà del 1578 tornò ad Ingatestone Hall.
Nel 1581, mentre lavorava nel Warwickshire, John Payne venne tradito, arrestato e condotto alla Torre di Londra: accusato di tradimento della regina, fu torturato sulla ruota e condannato ed essere impiccato, sventrato e squartato. Egli rifiutò l’aiuto offertogli da un certo George Elliott, ribadendo piuttosto “che egli sempre, con la mente o le parole, aveva onorato sua maestà la regina più di ogni altra donna al mondo; che avrebbe sempre felicemente obbedito ad ogni dovere civile; che pregava per lei come per la propria anima; che non aveva mai pensato o complottato nessun tradimento contro sua maestà o alcun nobile d’Inghilterra”.
Il 2 aprile 1582 presso Chelmsford nell’Essex si consumò il triste evento, che meritò a John Payne la corona dei martiri. Le persone che assistettero alla sua esecuzione, colpite dall’integerrima condotta del sacerdote, chiesero che il suo corpo fosse lasciato appeso sino alla morte, aspettando dunque a compiere su di esso le raccapriccianti pratiche previste. Il Santo morì pronunciando le parole “Gesù, Gesù, Gesù”.
Papa Paolo VI ha canonizzato John Payne il 25 ottobre 1970, unitamente al gruppo dei Quaranta Martiri d’Inghilterra e Galles.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Giovanni Payne, pregate per noi.

*Beato Giovannino (Costa) - Pastore, Martire (2 Aprile)
Tortona (Alessandria), 1456 ca. – Volpedo (Alessandria), 2 aprile 1468
Il Beato Giovannino detto anche Giovannino Costa da quello che sembra sia un cognome, è venerato a Volpedo in provincia di Alessandria; egli secondo alcuni, era nativo di Tortona e fu un giovane pastore ucciso in odio alla fede il 2 aprile 1468; si ipotizza che a commettere l’omicidio fossero stati degli Ebrei, ma non vi sono prove.
Le sue reliquie furono divise, il capo rimase a Volpedo e il corpo invece fu venerato a Tortona, ma nel 1820 esse furono riunite e lasciate a Volpedo.
Il 19 agosto 1920 fu eseguita una ricognizione canonica delle reliquie; il suo culto è in vigore sin dal XV secolo, autorizzato più volte dai vescovi di Tortona nei secoli successivi.
A Volpedo la festa del Beato Giovannino Costa viene celebrata nella data tradizionale della sua morte, il 2 aprile, ma anche nel lunedì di Pasqua e nella seconda domenica d’agosto.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovannino, pregate per noi.

*Beato Guglielmo (Vilmos) Apor - Vescovo ungherese, Martire (2 Aprile)

Segesvár (Romania), 29 febbraio 1892 – Györ (Ungheria), 2 aprile 1945
Figlio di nobili ungheresi, nacque a Segesvár, diocesi di Alba Julia (odierna Romania), il 29 febbraio 1892.
Dal 1906 fu alunno del liceo nel collegio di Kalcsa. Nel 1909 entrò nel seminario di Györ.
Il vescovo Széchényi lo inviò all'Università dei Gesuiti di Innsbruck, dove conseguì la laurea in teologia. Venne ordinato sacerdote il 24 agosto 1915.
Durante la prima guerra mondiale fu cappellano militare su un treno ospedale della Croce Rossa. A 26 anni divenne il più giovane parroco d'Ungheria, a Gyula. Nella travagliata situazione sociale e politica fu un punto sicuro di riferimento per i suoi parrocchiani.
Il 21 gennaio 1941 Papa Pio XII lo nominò vescovo di Györ, diocesi fondata da santo Stefano. Durante la seconda geurra mondiale il vescovo difese gli ebrei alzando la voce anche contro gli stessi politici al potere. Nel 1945 i russi, nella Settimana Santa, attaccarono Györ; colpito a morte da alcuni soldati il Venerdì santo per difendere alcune ragazze rifugiatesi nell'episcopio morì il lunedì di Pasqua seguente. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Györ in Ungheria, Beato Guglielmo Apor, vescovo e martire, che, durante la guerra, aprì la sua casa a circa trecento profughi e, percosso la sera del Venerdì Santo per aver difeso alcune ragazze dalle mani dei soldati, tre giorni dopo spirò.  
Figlio di nobili ungheresi, nacque a Segesvár, diocesi di Alba Julia (odierna Romania), il 29 febbraio 1892, penultimo di nove figli, dei quali quattro morirono in tenera età.
La famiglia si era appena trasferita a Vienna, quando anche il padre barone Gábor, morì a soli 47 anni, nel 1898. La madre contessa Fidelia, si interessò da sola dell’educazione dei figli e secondo le consuetudini familiari, terminate le scuole elementari, Vilmos (Guglielmo) fu affidato ai Gesuiti nel collegio di Kalksburg in Austria; dal 1900 frequentò il ginnasio, mentre dal 1906 fu alunno del liceo nel collegio di Kalcsa in Ungheria.
In quegli anni maturò in lui la vocazione sacerdotale; ottenuta la maturità, nel 1909 entrò nel seminario di Györ, il cui rettore era un suo parente.
Il vescovo Széchényi lo inviò all’Università dei Gesuiti di Innsbruck, dove conseguì la laurea in teologia. A Nagyvárad dove il suo vescovo l’aveva condotto con sé da Györ, venne ordinato sacerdote il 24 agosto 1915; diventò viceparroco a Gyula e in seguito, durante la guerra, fu cappellano militare su un treno ospedale della Croce Rossa.
Per un anno, dal 1917 al 1918 fu nominato dal vescovo, docente di teologia dogmatica e prefetto degli studi nel seminario di Nagyvárad. A 26 anni divenne il più giovane parroco d’Ungheria, a Gyula, dove espletò il suo mandato con zelo e comprensione per tutti; il periodo non era dei più felici per l’Ungheria, con il trattato di Trianon, lo Stato era stato smembrato comportando disorientamento, povertà e caos morale.
La rivoluzione comunista e l’invasione militare rumena, avevano sconvolto la tranquillità anche della città di Gyula; il giovane parroco diventò un punto di riferimento, dimostrando forza d’animo e
decisione; fece ripristinare l’abolito insegnamento della religione nelle scuole; si recò di persona alla corte di Bucarest per ottenere la liberazione di alcuni concittadini presi in ostaggio dai soldati rumeni.
Nel 1938 l’Ungheria venne a trovarsi confinante col Terzo Reich, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, con conseguente influsso del nazionalsocialismo. Il parroco Vilmos Apor, insieme ad altri confratelli, si distinse nel segnalare questo pericolo per la nazione ungherese e per la cristianità.
Il 21 gennaio 1941 Papa Pio XII lo nominò vescovo di Györ, diocesi fondata da Santo Stefano.
Nello stesso 1941 anche l’Ungheria entrò in guerra a fianco della Germania e il nuovo vescovo dovette conformare il suo clero alla nuova dolorosa situazione e quando nel 1944 la Germania occupò l’Ungheria, vennero promulgate anche le leggi razziali.
Il vescovo prese posizione in difesa delle vittime dell’ingiustizia, difese gli ebrei alzando la voce anche contro gli stessi politici al potere, emanò scritti e diverse prediche, condannando le azioni disumane, mettendo a rischio anche la propria sicurezza.
Si oppose alla costruzione di un ghetto a Györ e quando iniziarono le deportazioni di massa, creò gruppi di soccorso, lungo il percorso dei convogli che attraversavano la sua diocesi. La città di Györ, posta in posizione strategica, importante nodo ferroviario e centro di produzione bellica, era sempre più spesso bombardata dall’Armata Rossa; il fronte si avvicinò sempre più alla città e il vescovo pur turbato, non volle abbandonare il vescovado; ricevé le notizie che i soldati russi “liberatori” stupravano le donne e uccidevano chi si opponeva a loro e il 29 novembre 1944 esortò quanti erano intenzionati a suicidarsi a conservare la loro vita e affrontare la prova con coraggio.
Ci fu a più riprese la conquista della città da parte dei russi, poi ripresa dai tedeschi e ancora dopo una vasta offensiva dai russi, che iniziarono i combattimenti nella Settimana Santa; la sera del mercoledì santo 28 marzo 1945, i primi soldati comparvero nel palazzo vescovile, dove erano rifugiate molte ragazze impaurite.
Il vescovo si pose sulla porta delle cantine a sbarrare il passo ai soldati, dicendo che erano sotto la sua protezione; lì restò notte e giorno, il giovedì santo celebrò la sua ultima Messa in cantina. Il venerdì santo poté leggere solo la “Passione di Cristo”, verso le 18,30 si presentarono dei soldati con un maggiore, che a voce alta intimò alle ragazze di uscire per ‘pelare le patate’, il vescovo si oppose, dicendo di prendere gli uomini e le donne anziane volontarie, per quello scopo; intanto i soldati trovate le ragazze, presero a trascinarle fuori, fra le alte grida delle stesse, il vescovo corse gridando ai soldati di uscire, ma questi aprirono il fuoco contro di lui, colpendolo con tre proiettili.
In seguito a ciò i soldati si allontanarono dal palazzo e le ragazze furono salve; adagiato su una barella fu trasportato per strade oscure e dissestate al lontano ospedale, dove alla luce di lampade ad olio, in una vasta cantina, fu operato all’addome senza anestetico.
Dalle sue labbra uscì solo un sussurro: “Ringrazio Dio che mi ha preparato un Venerdì santo così bello”. Il sabato fu un giorno di sofferenza e preghiera, il mattino della Domenica di Pasqua ricevé la Santa Comunione; poi sopraggiunse la peritonite, si confessò e ricevé l’estrema unzione, esortò per ultimo i suoi sacerdoti perché rimanessero fedeli alla Chiesa, aiutando la desolata patria a risollevarsi dalle macerie.
Morì all’alba del lunedì dell’Angelo 2 aprile 1945 e venne sepolto nella cripta della chiesa dei Carmelitani Scalzi. Nel 1948 iniziò a Györ, il processo per la sua beatificazione, ma poi sopravvenne “la Chiesa del silenzio” e per 40 anni la causa rimase sospesa; nel maggio del 1986, finalmente le sue spoglie poterono essere trasferite nella cattedrale di Györ, riprendendo anche le procedure per la causa.
L’8 aprile 1997 è stato riconosciuto il suo martirio e quindi secondo le nuove norme, Papa Giovanni Paolo II, dopo aver pregato sulla sua tomba nel 1996, durante il suo viaggio in Ungheria, l’ha beatificato domenica 9 novembre 1997, in piazza S. Pietro a Roma.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Guglielmo Apor, pregate per noi.

*Beato Leopoldo da Gaiche (2 Aprile)
Gaiche (PG), 30 ottobre 1732 - Spoleto, 2 aprile 1815
Il Beato Leopoldo (Giovanni Croci) nacque a Gaiche (Pg) il 30 ottobre 1739. Francescano nel 1752, sacerdote nel 1757, insegnò filosofia e teologia ai chierici della provincia serafica della quale fu anche Ministro Provinciale.
Il 1 novembre fondò il ritiro di Monteluco ove visse tra una predicazione e l'altra per 27 anni.
Fu chiamato "Apostolo dell'Umbria". Morì a Spoleto il 2 aprile 1815. Fu beatificato da Leone XIII il 12 marzo 1893.
Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, Beato Leopoldo da Gaiche, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che fondò sacri eremi a Monteluco.
Giovanni Croci nacque a Gaiche (Perugia) il 30 ottobre 1732 in una benestante famiglia contadina. I genitori, cristiani esemplari, trasmisero al figlio una fede profonda. Dal parroco del vicino paese di Groppoleschieto Giovanni ebbe una prima istruzione, accompagnata dall'insegnamento del catechismo.
Studiava sempre, anche badando al gregge che portava al pascolo. Fu una grande gioia per i genitori quando manifestò la volontà di diventare frate francescano, vestì l'abito nel convento di S. Bartolomeo a Cibottola prendendo il nome di Leopoldo.
Studiò con impegno nel convento di Norcia: fu un novizio esemplare. Dopo l'ordinazione sacerdotale per le mani del vescovo di Terni, Monsignor Maculari, fu destinato all'insegnamento della teologia e della filosofia. Tre anni dopo, per impegnare al meglio le eccellenti qualità oratorie, ebbe l'incarico
esclusivo di predicatore: diventò, nei quarantasette anni a venire, l'apostolo dell'Umbria e degli Stati Pontifici.
Seguì il metodo del confratello S. Leonardo da Porto Maurizio di cui portava sempre con sé il "Regolamento per le missioni". Dopo solo quattro anni venne nominato capo-missionario. L'impegno di predicatore di Fra Leopoldo fu costante negli anni e straordinario. Le sue prediche, spesso concitate e dai toni profetici, erano preparate meticolosamente. Prima di salire su un pulpito si raccoglieva profondamente in preghiera e spesso tremava fino a quando non iniziava a parlare.
Molto austero era il suo regime di vita, si spostava da un paese ad un altro sempre a piedi, noncurante delle condizioni atmosferiche. Da un diario delle predicazioni sappiamo che tenne trecentotrenta missioni della durata media di quindici giorni, quaranta quaresimali e innumerevoli novene e panegirici.
Solitamente, mentre si avvicinava al paese dove era atteso, gli abitanti del posto in processione gli andavano incontro. Con i suoi frati si inginocchiava invocando l'assistenza dello Spirito Santo e scalzo raggiungeva la chiesa, cantando le litanie della Madonna. Portava sempre con se alcune reliquie. Molte volte la chiesa non riusciva a contenere la folla e quindi la funzione era celebrata all'esterno. Umilmente ascoltava i consigli e le opinioni del parroco. Era consueto il pio esercizio dello "svegliarino": di notte faceva suonare dalle campane l'Ave Maria poi, girando per il paese, radunava gli uomini per condurli, cantando, in chiesa dove teneva un sermone al termine del quale si flagellava le spalle. Non mancava la processione in onore della Madonna con le donne che, vestite di bianco, tenevano in capo una corona di fiori. La missione si concludeva con una processione penitenziale durante la quale Fra Leopoldo, scalzo, portava la croce, la corona di spine e le catene al collo; molti lo imitavano. Alla fine dei quindici giorni, tra i fedeli, erano numerose le conversioni e le riconciliazioni. Per fuggire dagli attestati di stima partiva un'ora prima del previsto. Come S. Leonardo da Porto Maurizio eresse o fece restaurare decine di Via Crucis.
Nell'Ordine ricoprì gli importanti incarichi di Custode, Guardiano e Ministro Provinciale, imponendo ai vari conventi della sua provincia la piena osservanza della Regola. Avanzando negli anni diminuì il numero delle missioni, pensò quindi di trasformare in Ritiro di stretta osservanza il convento di Monteluco, fondato da S. Francesco presso Spoleto a 1218 metri di altezza (vi soggiornò anche S. Antonio da Padova). Con l'approvazione della Santa Sede preparò le Costituzioni che si dovevano osservare. Il 1° novembre 1788 il vescovo di Spoleto, Monsignor Locatelli, lo inaugurò solennemente. Fra Leopoldo e compagni si ritirarono periodicamente a Monteluco per ritemprare lo spirito dalle fatiche apostoliche.
Nel 1809 il Ritiro fu soppresso dalle leggi napoleoniche e il Beato fu costretto a lasciare il saio e a rifugiarsi a Terraia. Anche qui formò un centro di preghiera, mentre sostituiva il parroco del confinante paese di Morgnano e faceva nei dintorni alcune prediche. Fu chiesto, però, anche a lui di prestare giuramento alle nuove leggi anticlericali e, al suo rifiuto, seguì prima una sorta di reclusione presso la nobile famiglia Lauri, poi il confino nel convento di San Damiano ad Assisi. Continuò a far sentire la sua voce attraverso la corrispondenza. Erano tempi tristissimi per la Chiesa, Pio VII era prigioniero a Fontainebleau.
Qualche anno e la bufera passò. Fra Leopoldo andò incontro al papa che, tornando a Roma, fece sosta a Foligno. Nell'incontro chiese di riaprire il ritiro di Monteluco, era il 1814. Ormai anziano vi si ritirò.
L'anno successivo, durante una predica per la novena di Natale, ebbe un malore. Fu portato in paese per essere curato ma lui chiese solo, inutilmente, di morire sulla nuda terra. Spirò il 2 aprile 1815, aveva 83 anni. Il giorno successivo il corpo fu trasportato nella chiesa del Ritiro, dov'è ancora oggi venerato.
Grande la fama di santità e tante le grazie ottenute dai fedeli, Fra Leopoldo fu proclamato Beato da Leone XIII il 12 marzo 1893.

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Leopoldo da Gaiche, pregate per noi.

*Beata Maria di San Giuseppe Alvarado (Laura Alvarado Cardozo) - Fondatrice (2 Aprile)

Choroni, Venezuela, 25 aprile 1875 – Maracay, Venezuela, 2 aprile 1967
La beata venezuelana Maria di San Giuseppe (al secolo Laura Alvarado Cardozo), Vergine, fondò la Congregazione delle Suore Agostiniane Recollette del Cuore di Gesù e si dimostrò sempre amorevolmente premurosa verso le orfanelle, i vecchi ed i poveri abbandonati. Giovanni Paolo II la beatificò il 7 maggio 1995.
Martirologio Romano: A Maracay in Venezuela, beata Maria di San Giuseppe (Laura) Alvarado, Vergine, che fondò le Agostiniane Recollette del Sacro Cuore e fu sempre amorevolmente sollecita verso le ragazze orfane, gli anziani e i poveri abbandonati.
Sempre più spesso la cattolica America Latina, sta donando alla cristianità, esemplari figure di santi e beati fioriti in quelle terre, che da cinque secoli hanno visto l'opera apostolica ed eroica di tanti missionari, i cui frutti più preziosi sono proprio i santi e beati nativi di quelle Nazioni, ormai con maggioranza cattolica.
La Beata Maria di San Giuseppe, è una di queste eccelse figure sorte nella terra venezuelana; ella nacque con il nome di Laura Alvarado Cardozo a Choroni, un paesino sulla costa dell'Oceano Pacifico, nello Stato di Aragua, Venezuela, il 25 aprile 1875, primogenita dei quattro figli di Clemente Alvarado e Margherita Cardozo.
Il padre originario delle Isole Canarie, non era cattolico praticante ed operava nel campo del commercio; la madre era venezuelana e fervente cristiana; a due anni Laura ricevette il Sacramento della Cresima.
Per poter dare un'appropriata educazione ai figli, la famiglia Alvarado Cardozo, si trasferì a Maracay dove Laura frequentò le scuole fino al 1892, quando aveva 17 anni; distinguendosi per l'intelligenza precoce e l'ottimo carattere.
Formata dalla religiosità della madre e della nonna paterna, sin da fanciulla espresse il desiderio di consacrarsi a Dio, ma l'opposizione paterna la bloccò.
Terminati gli studi nel 1892, confidò al suo parroco e direttore spirituale, don Vicente Lopez Aveledo, il suo ardente desiderio di farsi suora di clausura, ma questi le consigliò di attendere, nel frattempo l'8 dicembre 1892 a 17 anni, fece il voto di perpetua verginità e divenne una delle più fedeli collaboratrici del parroco.
Per la mancanza di conventi di clausura in Venezuela, dovette accantonare la sua aspirazione e prese a lavorare il 3 novembre 1893, in un piccolo ospedale aperto dal suo parroco a Maracay, per soccorrere gli abitanti colpiti da un'epidemia di vaiolo, che seminava desolazione e morte, soprattutto tra i poveri.
Lavorò in questo luogo spendendo tutte le sue energie, niente la faceva vacillare animata com'era di raggiungere una vera santità di vita; con altre quattro amiche, prestò la sua opera gratuitamente nell'ospedale per quasi nove anni, spinta dal suo amore verso i poveri e dalla
speranza di fondare prima o poi un Istituto per i poveri e per le orfanelle. Il gruppo di volontarie prese il nome di 'Samaritanes' e Laura Alvarado Cardozo ne fu la direttrice.
L'11 febbraio 1901, ottenuto il permesso dell'arcivescovo di Caracas, fondò insieme a padre Lopez Aveledo, una congregazione di suore dedite all'assistenza e alla cura dei malati, degli orfani e degli anziani, con il nome di “Hermanas hospitalarias de S. Augustín”, Laura insieme a tre giovani vestì l'abito agostiniano, iniziando il Noviziato, fu nominata superiora del nascente Istituto, carica che manterrà fino al 1960.
Il 22 gennaio 1902, fece la professione religiosa prendendo il nome di suor Maria di S. Giuseppe; il 28 settembre 1903, la Sacra Congregazione dei Religiosi approvò gli statuti dell'Istituzione.
La sua ardente carità la portò a percorrere quasi tutto il territorio del Venezuela, fondando più di 35 Case per i poveri, a partire dal 1905 con la prima casa per le orfanelle, che aveva sempre sognato. Gli abitanti di tante città e villaggi, conobbero l'impegno di quella suora, asciutta, con il volto di asceta e di mistica, apparentemente debole e malaticcia ma carica di forza interiore e di ardente carità senza limiti.
Nelle sue case trovavano accoglienza i più diseredati della società, soleva dire alle sue figlie: “I rifiutati da tutti, quelli sono i nostri; quelli che nessuno vuole sono i nostri”.
Le sue giornate erano dedicate alla cura dei poveri e delle bambine, trascorreva lunghe ore davanti al Tabernacolo in adorazione, da qui traeva la forza da mettere poi al servizio dei bisognosi.
L'approvazione diocesana, arrivò solo il 17 settembre 1927, dando loro la denominazione di “Suore Ospedaliere Agostiniane”; il 10 maggio 1950 su richiesta della Madre Fondatrice, la Congregazione venne aggiunta all'Ordine degli Agostiniani Recolletti e il 15 novembre 1952 fu elevata a Congregazione di Diritto Pontificio, con il nome di “Suore Agostiniane Recollette del Cuore di Gesù”.
Nel 1960 Madre Maria di San Giuseppe ormai di 85 anni, fu sostituita nella carica di Superiora Generale e poté così ritirarsi nella Casa di 'Hogar' di Maracay, dove passò gli ultimi anni della sua lunga vita dedita alla preghiera e alla fabbricazione delle ostie necessarie per la parrocchia di Maracay e di altre parrocchie, che col tempo diventarono migliaia e migliaia di ostie, che la Madre distribuiva gratuitamente; come fanno tuttora le sue figlie.
Morì in odore di santità, dopo lunga malattia il 2 aprile 1967 a 92 anni; i funerali furono una vera apoteosi, con la partecipazione di Autorità civili e religiose, con aerei che lanciavano petali di rose sulla folla.
Fu sepolta nella Cappella della Casa delle Orfane di Maracay; dal settembre 1994 la sua salma incorrotta, è stata collocata in un sarcofago di cristallo e bronzo.
Il 9 ottobre 1983 si diede inizio alla causa di beatificazione; è stata proclamata Beata il 7 maggio 1995 da Papa Giovanni Paolo II; la sua celebrazione è al 2 aprile.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria di San Giuseppe Alvarado, pregate per noi.

*San Nicezio di Lione - Vescovo (2 Aprile)

m. 573
Martirologio Romano:
A Lione in Francia, San Nicezio, vescovo, che fu sollecito verso i poveri e benevolo con i semplici e insegnò a questa Chiesa a seguire una norma nella recita della salmodia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Nicezio di Lione, pregate per noi.

*Beato Nicola (Mykolay) Charneckyj - Vescovo e Martire (2 Aprile)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
“Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini”

Semakivtsi, Ucraina, 14 dicembre 1884 - Lviv, Ucraina, 2 aprile 1959
Martirologio Romano: A Leopoli in Ucraina, Beato Nicola Čarneckyj, vescovo, che svolse il suo ministero di esarca apostolico di Volyn’ e Pidljashja in tempo di persecuzione contro la fede e, seguendo come pastore fedele le orme di Cristo, per sua grazia raggiunse il regno celeste.
Mykolay Charneckyj nacque il 14 dicembre 1884 a Semakivtsi, nell’Ucraina Occidentale.
Nel 1903 entrò nel seminario di Stanislaviv, fu poi alunno del Collegio Ucraino a Roma, coronando i suoi studi con il dottorato in teologia.
Nel 1909 ricevette l’ordinazione presbiterale e divenne insegnante nel seminario di Stanislaviv, del quale era anche padre spirituale.
Nel 1919 entrò nella Congregazione dei Missionari Redentoristi. Nel 1926 fu nominato Visitatore Apostolico per i fedeli greco-cattolici di Volyn, dove le strutture della Chiesa uniate erano state distrutte dal regime zarista russo nel XIX secolo.
Nel 1931 poi fu nominato Ordinario dei cattolici di rito bizantino-slavo in territorio polacco e l’8 febbraio di tale anno ricevette dunque la consacrazione episcopale nella Città Eterna. L’11 aprile seguente fu arrestato a Lviv dagli agenti del KGB, insieme a tutta la gerarchia episcopale greco-cattolica.
Condannato inizialmente a cinque anni di lavori forzati, il Charneckyj passò invece ben undici anni nelle carceri, subendo continue torture ed umiliazioni. Accettò e sopportò comunque tutto ciò con eroica pazienza e serenità, pregando per i suoi persecutori e cercando di confortare i suoi compagni di lager, nei confronti dei quali si dimostrò veramente un buon pastore.
Nel 1956 fu finalmente scarcerato e ricondotto a Lviv ormai moribondo.
Ripresosi contro ogni aspettativa, continuò ad esercitare il suo ministero dirigendo dal suo letto la Chiesa delle catacombe. Mykolay Charneckyj morì infine a Lviv il 2 aprile 1959.
Subito fu considerato dai fedeli ucraini un santo martire, in virtù delle atroci sofferenze a lungo patite in odio della fede cattolica.
Ancora oggi numerosi fedeli sono soliti pregare sulla sua tomba. Mykolay Charneckyj fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Nicola Charneckyj, pregate per noi.

*Beato Pedro Calungsod - Catechista filippino, Martire (2 Aprile)

Ginatilan (Filippine), 1654 - Guam (Isole Marianne), 2 aprile 1672
Martirologio Romano: Nel villaggio di Tomhom nell’isola di Guam in Oceania, Beati martiri Diego Luigi de San Vitores, sacerdote della Compagnia di Gesù, e Pietro Calungsod, catechista, uccisi crudelmente in odio alla fede cristiana e precipitati in mare da alcuni apostati e da alcuni indigeni seguaci di superstizioni pagane.
Fu uno dei giovani catechisti, che accompagnarono i missionari gesuiti spagnoli, che partendo dalle Isole Filippine, sbarcarono alle Isole Ladroni, successivamente chiamate Marianne, situate nell’Oceano Pacifico Occidentale, dipendenza della Spagna, fin dalla loro scoperta nel 1521 da parte di Fernando Magellano.
Pedro Calungsod Bissaya, originario della regione di Visayas nelle Filippine, era nato nel 1654 a Ginatilan (o Naga di Cebu) e fin da ragazzo frequentò la missione dei Gesuiti, divenendo poi
catechista. La vita nelle Isole Ladroni, come le chiamò Magellano, era veramente difficile, giungla troppo fitta, scogliere ripide, con frequenti e devastanti tifoni, approvvigionamenti per la missione non regolari; nonostante ciò la perseveranza dei missionari fu premiata con numerose conversioni.
Però un guaritore cinese, invidioso del loro successo, prese a spargere la voce fra gli indigeni, che l’acqua del battesimo fosse avvelenata, per cui alcuni bambini erano morti; per la verità questi bambini erano stati battezzati già gravemente ammalati e poi erano deceduti; ma questo bastò e molti gli credettero, rinnegando la fede cristiana e presero a perseguitare i missionari appoggiati da alcuni indigeni superstiziosi e di non retta condotta.
Il 2 aprile 1672 all’alba, il superiore della missione, il Beato gesuita Diego Luis de San Vitores e il giovane catechista di 17 anni Pedro Calungsod, giunsero al villaggio di Tomhom nell’isola di Guam; lì seppero che era nata una bambina, figlia di Matapang, che un tempo era stato cristiano e amico dei missionari, ma che poi convinto dal guaritore cinese Choco, era diventato contrario.
Matapang rifiutò di battezzare la figlia, i missionari sicuri di poterlo convincere, radunarono i bambini e gli adulti del villaggio per pregare e cantare insieme e per parlare delle verità cristiane, invitandolo ad unirsi a loro, ma l’uomo rifiutò, gridando ed imprecando contro Dio ed i loro insegnamenti.
Sempre più in preda all’odio si recò al villaggio per avere un appoggio per ucciderli, rivolgendosi ad un certo Hirao, il quale memore della bontà dei missionari in un primo momento rifiutò; nel frattempo padre Diego con il consenso della madre battezzò la bambina, quando Matapang apprese la notizia, prese a scagliare furiosamente numerose frecce contro Pietro.
Il giovane catechista molto agile, riuscì in un primo momento a schivarle, poteva scappare del tutto, ma per non lasciare solo padre Diego, non lo fece, ne si difese perché disarmato, come era regola per i catechisti; alla fine fu raggiunto da una freccia al petto cadendo stramazzato, padre Diego accorse e gli diede l’assoluzione.
Sopraggiunse Hirao che lo finì con un colpo alla testa, stessa sorte toccò a padre Diego Luis de San Vitores, ucciso con una lancia; i due cadaveri spogliati dalle loro poche cose, vennero portati al largo su una barca e gettati nell’Oceano.
Il 6 ottobre 1985 padre Diego venne beatificato da Papa Giovanni Paolo II; il 27 gennaio 2000 è stato riconosciuto il martirio del giovane catechista filippino Pedro Calungsod, il quale è stato beatificato dallo stesso pontefice il 5 marzo 2000. Primi martiri e apostoli delle Isole Marianne.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Pedro Calungsod, pregate per noi.

*Santa Teodosia (Teodora) di Cesarea - Vergine di Tiro, Martire (2 Aprile)

Martirologio Romano: Nello stesso luogo, passione di Santa Teodora, vergine di Tiro, che nella medesima persecuzione, avendo pubblicamente salutato i Santi confessori della fede che stavano davanti al tribunale e chiesto loro che, giunti al Signore, si ricordassero di lei, presa dai soldati e condotta davanti al governatore, fu per suo ordine torturata con atroci supplizi e infine gettata in mare.
La notizia su questa martire è stata tramandata dallo storico Eusebio sull’opera “I martiri di Palestina, dove viene raccontato il martirio della Santa.
Teodosia, vergine di Tiro, si era trasferita a Cesarea che ancora non aveva compiuto il diciottesimo anno d’età, mentre consolava dei prigionieri probabilmente cristiani, fu arrestata e fu condotta dal governatore Urbano per essere giustiziata.
Molte sono le torture che subì questa Santa: fu gettata in mare, fu esposta alle belve, ma ne uscì indenne e infine fu decapitata.

(Autore: Antonino Cottone – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teodosia di Cesarea, pregate per noi.

*San Vittore di Capua - Vescovo (2 Aprile)
m. 554
Martirologio Romano:
A Capua in Campania, San Vittore, vescovo, insigne per dottrina e santità.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittore di Capua, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (02 Aprile)

*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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